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 Alimentazione e Alzheimer

L' Alzheimer  ha un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. 

 

La malattia di Alzheimer, una degenerazione progressiva del tessuto cerebrale che compromette la vita sociale ed affettiva della persona che ne è colpita, interessa nel mondo circa 29 milioni di persone di cui 600.000 in Italia. E’  caratterizzata da un declino graduale della memoria e di altre funzioni cognitive e del comportamento, che conduce ad incapacità occupazionali e sociali. Al suo esordio la malattia, che aumenta di frequenza dopo i 65 anni di età, spesso non viene riconosciuta e i sintomi iniziali (modificazioni del carattere, perdita di interesse e di iniziativa, vuoti di memoria) sono comunemente attribuiti a invecchiamento, stress o depressione. Questa forma di demenza è caratterizzata dalla presenza di degenerazione neurofibrillare, placche di beta-amiloide e perdita neuronale. Queste modificazioni portano ad una riduzione relativa di molti neurotrasmettitori in aree specifiche del cervello, come ad esempio l’acetilcolina nell’ippocampo. Sebbene la causa precisa sia sconosciuta, sono state trovate relazioni con fattori genetici, dello stile di vita ed altri fattori.

Gli studi hanno dimostrato che il rischio di Alzheimer è più elevato nelle persone che consumano diete ricche di colesterolo e grassi saturi e povere di fibra, verdura e frutta. Questo tipo di dieta sembra giocare un ruolo nella formazione delle placche di beta-amiloide e nel provocare il danno ossidativo ai neuroni.

Inoltre altri studi hanno dimostrato che aumentati livelli di omocisteina sembrano essere un fattore di rischio indipendente di Alzheimer, oltre ad essere un fattore di rischio per malattie vascolari del sistema nervoso centrale. Sebbene esistano forme ereditarie, l’iperomocisteinemia acquisita è solitamente il risultato di bassi livelli di Vitamina B12, Vitamina B6 e Folati, che sono necessari per il suo metabolismo. Buone fonti di folati includono legumi, succo d’arancia, asparagi, noci e vegetali a foglia verde, come gli spinaci. Fonti di B6 includono cereali integrali, cibi a base di soia, arachidi, noci, banane ed avocado. La vitamina B12 si trova solitamente in cibi e prodotti di origine animale, comunque valide alternative includono cereali e latte di soia fortificati o integratori vitaminici. Altri fattori della dieta e dello stile di vita sembrano essere forti predittori della concentrazione di omocisteina; infatti, il consumo di tè, l’uso di estrogeni e il livello di attività fisica sono inversamente correlati con la concentrazione totale di omocisteina, mentre l’intake di caffè è positivamente associato con i livelli plasmatici totali di omocisteina. Un trattamento a lungo termine di soggetti a rischio per Alzheimer con agenti terapeutici antiossidanti più efficaci potrebbe potenzialmente rallentare la degenerazione neuronale e ritardare o prevenire l’esordio della malattia.

La persona interessata continua comunque a svolgere la maggior parte delle attività quotidiane per un lungo periodo di tempo dall’esordio della malattia, ma progressivamente si rende conto di non riuscirci più da sola e quindi di dovere dipendere da altri.  In questo contesto interviene una serie di fattori a compromettere la sua capacità di alimentarsi in modo equilibrato e corretto:

  • disturbi della memoria: può non ricordare di dovere mangiare o di avere già mangiato e difficoltà nell’eseguire gesti abituali come cucinare i cibi e come utilizzare le posate.

  • Disturbi cognitivi e affettivi: la persona ammalata di Alzheimer vive il presente in uno stato di disorientamento e percepisce in modo distaccato il passato; ha difficoltà nel riconoscere i cibi e persino nell’individuarne la commestibilità.

  • Alterazioni del gusto e dell’olfatto e la compromissione del centro della fame e della sazietà: può rifiutare il cibo a denti serrati o accettare esclusivamente dolci.

 

La persona ammalata di Alzheimer può assumere due diversi atteggiamenti nei confronti del cibo:

  • mangiare molto più del necessario: la conseguenza più frequente è un aumento eccessivo di peso, fino all’obesità. Può essere utile allora ricorrere a spuntini non troppo calorici (come verdure crude, frutta, yogurt, grissini, cracker, succhi di frutta); limitare le porzioni di cibo nel piatto e non tenere il cibo in vista.

  • alimentarsi in modo insufficiente: con evidente rapido dimagrimento e/o stato di malnutrizione. Può essere utile controllare sempre la quantità di cibo che ha effettivamente consumato e introdurre cibi con molte calorie (come formaggio grana, burro, olio, miele).

 

Con il progredire della malattia, la persona affetta da Alzheimer può manifestare anche difficoltà nella masticazione e nella deglutizione (la cosiddetta disfagia). Diventa pertanto necessario modificare gradualmente la consistenza dei cibi e delle bevande tenendo conto dell’aggravarsi dei sintomi; a seconda del livello di gravità della disfagia la dieta può essere: solida, morbida (semisolida) o semiliquida.

E’ comunque buona norma seguire una dieta equilibrata che contenga carboidrati, proteine, grassi, vitamine, sali minerali e fibra per soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali.

 

 

 

 

A. Sannino, A. Vanotti, L. Farias, C. Pusani, M. Orsenigo, Alimentazione e Alzheimer, Piccolo manuale ad uso di chi assiste la persona ammalata

Diet and Alzheimer's Disease, Physicians Committee for Responsible Medicine, August 11, 2004 (Traduzione a cura di L. Baroni)

F. Panza, V. Solfrizzi, C. Capurso, A. D’Introno, A. M. Colacicco, F. Torres, M. Monti, M. Barone, A. Capurso, Alimentazione, stress ossidativo e declino cognitivo, Dementia Update – Numero 10, Giugno 2001

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